giovedì 21 marzo 2013

TITA, UN'IMPRENDITRICE, INTESTATARIA DI CONTI E DI BENI. Moglie di uno dei capimafia della 'Ndrangheta Calabrese. Volle' collaborare con la giustizia, non lo fece e si Suicido' con l'acido muriatico.

Era una donna forte e coraggiosa, sacrifico' la sua stessa carne e per il bene del suo sangue. Si chiamava Buccafusca Santa, ed era nata a Nicotera Marina in provincia di Vibo Valentia il 7 febbraio del 1974 e mori' il 18 aprile 2011 all'ospedale di Polistena, per aver ingerito due giorni prima dell'acido muriatico. A casa i suoi cari la chiamavano Tita, quella donna che divento' la madre di un bimbo di sedici mesi e moglie di uno dei Capimafia piu' potenti della 'ndrangheta Calabrese, Mancuso Pantaleone, che si faceva chiamare "Luni Scarpuni". Lo aveva conosciuto nel 1989, quando lei, Tita aveva solo 15 anni, venuta su da una famiglia modesta, e non di criminali, ma purtroppo quando ci si lega ad altri ambienti, lla vita cambia e prende una brutta piega. Cio' che e' successo a Tita tutto in un'attimo. Vide il padre arrestato, e proprio mentre colui, che riteneva l'uomo della sua vita, ormai ai vertici della malavita organizzata, veniva arrestato, e anche in quel periodo perse la madre. Prima che il marito di Tita, Mancuso, usci' di carcere passo' un bel po' di tempo. L'esistenza della donna iniziava a diventare cupa e difficile, cosi' un male inesorabile si porto' via anche il padre e l'adorato fratello che era diventato il suo punto di riferimento. Sui fogli lei risultava un'imprenditrice, intestataria di conti e di beni, ma i nrealta' ormai era diventata una donna sola e triste. Cosi' cadde' in una forte depressione, che nel 2008 fu ricoverata d'urgenza all'ospedale. La sua Bellezza che aveva conservato negli anni, cominciava a svanire giorno dopo giorno, che passavano mentre accorreva in tribunale ad ogni udienza del promesso sposo imputato per mafia e tanti altri crimini, insomma un vero e proprio pezzo da novanta. Intanto Mancuso usciva dal carcere si sposo' con Tita e dalla loro unione dopo poco nacque un bambino, quella creatura che convinse la donna a cambiare radicalmente la sua esistenza, ma non quella di lui. Il marito tornato in liberta', raccontano le ultime carte giudiziarie, sarebbe stato deciso a riprendersi il territorio dei Mancuso, insidiato dai nuovi capo gruppi mafiosi emergenti che intendevano far fuori il clan di Nicotera e Limbadi. E fu proprio da qui che la donna inizio' la sua fuga in giro per le caserme, con in braccio il suo piccolo, chiedendo riparo la prima volta, il 14 febbraio 2011, presso la Stazione dei Carabinieri di  Nicotera Marina, che in quel periodo erano impegnati, insieme alla compagnia di San Calogero, all'assassinio del supernarcos Vincenzo Barbieri. Il re della cocaina importata, colui che aveva creato un'impero tra la Calabria, Bologna e San Marino. E fu qui che la donna istigo' i militari dicendo loro: "si stanno ammazzando come cani ... ", " mettete posti di blocco dappertutto, andate a casa e prendete il Pc prima che sparisce". Una donna ormai al vaglio della disperazione che la costrinse ad andare dagli stessi Carabinieri, telefonare la marito, a cui disse che non si sarebbero piu' rivisti e che lei avrebbe collaborato con la giustizia. Tita' pero' non firmo' il verbale, era stanca e stremata, combattuta da un'esistenza che ormai non le apparteneva piu', ma un'ufficiale del ROS, a quel punto, in modo chiaro e fermo, la invito' a compiere una scelta che in tal caso avrebbe dovuto lasciare quel presidio, cioe' la stazione dei Carabinieri, dove aveva chiesto ospitalita' con il suo piccolo, non essendoci i presupposti per il programma di protezione. Torno' cosi' a casa con il marito, dove lo stesso Mancuso, un mese dopo la riconciliazione con Tita e precisamente il 16 aprile, busso' ai Carabinieri di Nicotera Marina, spiegando che la moglie aveva ingerito dell'acido muriatico. Dopo due giorni mori' in ospedale.

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