Lui in quell'appartamento ci arrivò a cose fatte, quando il corpo di Lea Garofalo era già a terra, ai piedi del divano, senza vita. Il viso era sporco di sangue, il cordino verde usato per strangolarla ancora intorno al collo. Carmine Venturino, 26 anni, ex fidanzato della figlia di Lea, Denise, ha deciso di collaborare con gli inquirenti. E di fornire elementi utili per ricostruire le ultime ore della testimone di giustizia, morta a Milano il 24 novembre del 2009. Fu Carlo Cosco, l'ex marito, a ucciderla. Mentre lui, il genero – insieme agli altri componenti della 'ndrina – bruciò il corpo di Lea finché «non era rimasto più nulla, solo le braci». Per l'omicidio sono già stati inflitti sei ergastoli in primo grado.
Un assassinio brutale, una vendetta ben organizzata contro una donna che aveva deciso di cambiare vita e di fare rivelazioni inquietanti sul “giro” di Cosco. Le lettere inviate da Venturino al pm della Dda di Milano, Marcello Tatangelo – il cui contenuto è stato reso noto dal numero oggi in edicola di Repubblica – sono finite agli atti del processo d'appello. L'ex compagno di Denise – che in aula ha già reso testimonianza contro il padre – ha spiegato che Lea «fu uccisa materialmente da Carlo e Vito Cosco, fu strangolata dopo che Carlo si incontrò con lei all'Arco della pace e con una scusa la portò in un appartamento (…) la mattina dopo hanno portato il cadavere nel terreno di San Fruttuoso, a Monza. Qui, già dal 25, è iniziata la distruzione del cadavere, che non è stato sciolto nell'acido, ma carbonizzato fino a dissolverlo completamente».
IL DELITTO Venturino arriva sul luogo del delitto quando Lea è già morta. È proprio lui a raccontare agli inquietanti i passaggi che porteranno all'occultamento dei resti della testimone di giustizia. «Abbiamo acceso la luce. Il corpo era disteso per terra nel salotto. Era a faccia in giù, in una pozza di sangue. Il viso aveva grossi lividi. Era stata strangolata, intorno al collo aveva una corda verde, che io riconobbi come quella che era a casa mia e che serviva a chiudere le tende». E in effetti i carabinieri nell'appartamento avevano trovato un «cordino verde tagliato e riannodato su se stesso». Venturino prosegue il suo macabro racconto, e spiega come – insieme a Renato Curcio, un altro condannato in primo grado – abbiano «messo il corpo in uno scatolone e sigillato tutto con il nastro adesivo».
«ABBIAMO DATO FUOCO» Lea viene allora “depositata” temporaneamente in un box. La mattina dopo finisce a San Fruttuoso, in un magazzino: «Abbiamo preso un grosso fusto di metallo – dice Venturino –, di quelli alti dove si tiene il petrolio. Abbiamo messo il cadavere dentro spingendo il corpo in modo che non uscisse fuori, a testa in giù, dal bordo si intravedevano le scarpe. Abbiamo versato benzina e dato fuoco. A un certo punto Curcio mi ha detto che forse non bruciava perché non c'era abbastanza aria dentro, e allora con un piccone ho fatto dei buchi al fusto. Anche dopo però il cadavere si consumava lentamente». L'ex genero di Lea – incaricato di farla sparire – a un certo punto va via. Al suo ritorno il cadavere è di nuovo fuori dal bidone. «Curcio – continua Venturino – lo aveva messo su dei bancali di legno che bruciavano col corpo. La testa praticamente non c'era più (…) c'erano frammenti di ossa, con una pala li abbiamo messi insieme ai pezzi di legno, nel fusto, con altra benzina che avevo portato. Alla fine il corpo era tutto carbonizzato».
«LEA VOLEVA RIPROVARCI» Stando a quanto raccontato da Venturino, Carlo Cosco era riuscito «a conquistare di nuovo la fiducia di Lea». La prova consisterebbe in «telefonate e messaggi, aveva detto che era lei a mandarglieli, erano messaggi d'amore. Io ero rimasto stupito, ne mostrò uno in cui Lea scriveva “Ninì voleva un fratellino”. Ninì era Denise».
VENDETTE La figlia ha poi deciso di perseguire con ogni mezzo gli assassini di Lea, tra cui c'è anche il padre. È proprio quest'ultimo – come ha riferito Venturino – a essere messo a conoscenza dal fratello Vito che «Denise stava parlando coi carabinieri di Petilia Policastro». E Cosco – dice l'imputato – sarebbe stato pronto a una vendetta anche nei confronti della figlia. Venturino cerca di difendere la fidanzata: «Dissi che non era vero». Il pentito rivela che «durante il processo Carlo dice di voler uccidere il figlio di Marisa Garofalo», sorella di Lea e parte civile nel processo.
Colpire chi poteva danneggiare il clan e poi farlo sparire. Una tecnica che Carlo Cosco e i suoi accoliti hanno messo in pratica contro Lea Garofalo. Uccisa e ridotta in cenere.
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