Nei primi anni dell'800, durante la dominazione Francese in Calabria, ci furono degli avvenimenti storici che che fecero affermare il "brigantaggio" in Calabria non come una convinzione ma come una realta'.
Chi erano i "Briganti Calabresi"?
Sicuramente non erano, come tanti pensano, dei delinquenti o malfattori o tanto meno dei banditi, ma era gente comune come operai, contadini, artigiani che si ribellavano alla prepotenza ed ai soprusi dello straniero, alle ingiustizie sociali, agli sfruttamenti degli onesti lavoratori, alle corruzioni e alle dure leggi e alla persecuzione degli innocenti. Tutte queste oppresioni portarono il popolo Calabrese alla fame le dure tasse da pagare e le leggi sempre piu' insopportabili, fecero cosi' sorgere "i briganti", con a capo i pedacisi (i Pedace di Cosenza) che si opposero e si ribellarono al grande potere Francese. Fu organizzata una spedizione nei boschi di Malaparte per affrontare il necerrimo nemico, molto superiore per mezzi e per numero, dove dopo una sanguinosa battaglia, furono sconfitti e molti di essi (briganti), eroicamente, persero la vita. I supersisti guidati da un certo Lorenzo Martire e incoraggiati da Padre Domenico Rota, nemico dei Francesi, si diedero alla fuga per non essere braccati come cani, disperdendosi tra i boschi e sottrarsi alla vendetta del nemico.
I contadini Calabresi erano ridotti davvero alla fame, dure leggi contro di loro e campavano tra fatiche e debiti per pagare le tasse, quindi non c'e' da meravigliarsi, se alcuni di questi non negavano il loro aiuto ai cosiddetti briganti, che si erano sacrificati per farsi valere con il coraggio di ribbellarsi contro i tiranni. E' per questo motivo erano cosi' ospitali a chi si dava alla macchia. Quindi tutte questa storia, diciamo che tira fuori il vero essere, Calabrese, e chi li conosce bene, sa come agiscono, come diceva anche l'apostolo della scuola
Giuseppe Isnardi in "Paesaggio calabro" dice tra l'altro: "Dicono che io sia innamorato della Calabria, e a molti buoni amici, specialmente del settentrione e dell'Italia centrale, questo mio "amore" e' parso o forse pare ancora, se non eccessivo o innaturale e strano, per lo meno singolare. Sara' cosi'. Ma quando penso come questo "amore" si e' fatto in me, sino a divenire quasi tutta la mia vita, con le sue nostalgie e i suoi irresistibili bisogni di ritorno, non posso non pensare proprio a quel mondo contadino, mondo di poveri, di pazienti o di ribelli senza violenza di ribellione, in cui la Provvidenza mi mando' a lavorare, forse perche' imparassi a conoscere meglio, nella povertà, gli uomini e me stesso, conoscessi, cioe', davvero quello che e' dolore e fatica, rassegnazione e speranza e disperazione, sete di giustizia, oscurita' di eroismi senza riconoscimento, senza gloria e senza premio".
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